17 MARZO 1949 - 21 MARZO 2009
MOBILITAZIONE CONTRO LE NUOVE POLITICHE NATO E LE BASI MILITARI, IN RICORDO DELL’OPERAIO COMUNISTA LUIGI TRASTULLI, UCCISO DALLA CELERE DI SCELBA MENTRE PROTESTAVA CONTRO L’ADESIONE DELL’ITALIA ALLA NATO
Il 17 marzo 1949 si ferma per sempre la vita di Luigi Trastulli, ucciso dalla Celere di Scelba lungo le mura della fabbrica che giorno dopo giorno bruciava il suo sudore e la sua fatica nella locomotiva siderurgica della ricostruzione post bellica. Correva veloce quella locomotiva sui binari tracciati dal capitale statunitense. Attraverso un intenso sfruttamento della classe operaia successivo all’epurazione delle avanguardie rivoluzionarie realizzato con i massivi licenziamenti degli anni ’50, nel giro di pochi anni la produzione dell’acciaio avrebbe trainato il Bel Paese nel boom economico degli anni ’60, ma parallelamente avrebbe contribuito al riarmo dell’occidente sotto l’egida americana, alimentando una guerra senza fine giunta fino ai giorni nostri. Corea, Vietnam, e poi Guerra del Golfo, Belgrado ’99, Afghanistan 2001, Iraq 2003, senza contare la militarizzazione dell’intera Europa, prona alla logica della guerra fredda anti URSS ed ora asservita alla logica della “guerra infinita” e allo “scontro di civiltà” propagati dall’amministrazione Bush.
Quel giorno, a Terni, Luigi Trastulli e gli operai delle acciaierie scesero in piazza per opporsi alla stipula del patto Atlantico della nascente NATO, che, in barba alla fresca Costituzione e con il ricordo ancora vivido della tragedia bellica, impegnava l’Italia a farsi suddito ubbidiente e a trasformare l’Italia in una gigantesca testa di ponte dell’imperialismo U.S.A. contro l’URSS, proiettata sul mediterraneo, al controllo del petrolio e del Medio Oriente.
Quel giorno gli operai di uno dei più importanti poli siderurgici d’Italia, non scesero in piazza per i propri bisogni, nonostante l’inferno della fabbrica che caratterizzava la quotidianità delle loro vite. Al contrario compresero che il loro lavoro stava per essere piegato al servizio della guerra, non solo quindi sviluppo ma armi, in un connubio inscindibile tra espansione del capitale e logica della guerra inevitabile.
Quel giorno lo Stato non esitò a farsi assassino, per spaventare e reprimere, pronto a coalizzare tutte le forse reazionarie e fascistoidi che nella storia del nostro paese saranno mobilitate ogni volta che verranno messe a nudo le contraddizioni del potere e rivendicati i diritti fino in fondo.
Quel giorno è oggi, da allora tutto è cambiato ma è anche in qualche modo uguale.
Oggi che assistiamo ad un attacco indiscriminato al lavoro, ai salari, ai diritti (primo tra tutti quello di sciopero) e alle tutele in nome della deregolamentazione, del libero mercato o della “crisi”.
Oggi dopo anni di riduzione della spesa pubblica e di svendita dei beni comuni per fare cassa, s’immettono in un sol colpo miliardi pubblici per salvare le banche transnazionali dalla crisi che lo loro stesse hanno creato speculando.
Oggi che si smantella la spesa sociale, con un passo indietro di decenni, ma si investe massicciamente nelle spese militari e nella sicurezza, creando un allarme interno ed esterno che non serve altro che a delegittimare ogni movimento sociale, ogni sacrosanta resistenza alle pulsioni autoritarie di una democrazia in decomposizione.
Oggi come allora, le grandi mutazioni del capitale, prima espansive, ora di crisi, si accompagnano con la saldatura tra pochi interessi privati e rilancio del militarismo, con il peace keeping a senso unico (vedi Libano 2006), con la guerra preventiva inventata da Bush ma sposata anche dai “progressisti” sotto il nome di polizia internazionale.
Oggi come allora, anche a Terni il 21 marzo 2009 scenderemo in piazza, nell’ambito del programma internazionale di mobilitazione contro l’intensificazione della NATO e le basi militari, lanciato dal World Social Forum di Belem e dalla rete NO WAR.
Non per commemorazioni rituali, ma per strappare la memoria dalle celebrazioni mistificate che chiamano “morti per la pace” le esecuzioni “involontarie” di uno Stato troppo spesso al servizio dei potenti e avverso all’autodeterminazione degli individui, allora come oggi.
Allora come oggi, perché nel ricordo del 17 marzo del 1949 e delle molte altre “morti della NATO” che tra il ’49 e il ’51 colpirono il vasto movimento di protesta dei lavoratori in tutta Italia, come in quelle successive degli anni ’70 ed ’80, delle stragi di stragi di stato e delle esecuzioni di compagni/e, abita la memoria e la lotta del nostro presente.
Il 17 marzo 1949 si ferma per sempre la vita di Luigi Trastulli, ucciso dalla Celere di Scelba lungo le mura della fabbrica che giorno dopo giorno bruciava il suo sudore e la sua fatica nella locomotiva siderurgica della ricostruzione post bellica. Correva veloce quella locomotiva sui binari tracciati dal capitale statunitense. Attraverso un intenso sfruttamento della classe operaia successivo all’epurazione delle avanguardie rivoluzionarie realizzato con i massivi licenziamenti degli anni ’50, nel giro di pochi anni la produzione dell’acciaio avrebbe trainato il Bel Paese nel boom economico degli anni ’60, ma parallelamente avrebbe contribuito al riarmo dell’occidente sotto l’egida americana, alimentando una guerra senza fine giunta fino ai giorni nostri. Corea, Vietnam, e poi Guerra del Golfo, Belgrado ’99, Afghanistan 2001, Iraq 2003, senza contare la militarizzazione dell’intera Europa, prona alla logica della guerra fredda anti URSS ed ora asservita alla logica della “guerra infinita” e allo “scontro di civiltà” propagati dall’amministrazione Bush.
Quel giorno, a Terni, Luigi Trastulli e gli operai delle acciaierie scesero in piazza per opporsi alla stipula del patto Atlantico della nascente NATO, che, in barba alla fresca Costituzione e con il ricordo ancora vivido della tragedia bellica, impegnava l’Italia a farsi suddito ubbidiente e a trasformare l’Italia in una gigantesca testa di ponte dell’imperialismo U.S.A. contro l’URSS, proiettata sul mediterraneo, al controllo del petrolio e del Medio Oriente.
Quel giorno gli operai di uno dei più importanti poli siderurgici d’Italia, non scesero in piazza per i propri bisogni, nonostante l’inferno della fabbrica che caratterizzava la quotidianità delle loro vite. Al contrario compresero che il loro lavoro stava per essere piegato al servizio della guerra, non solo quindi sviluppo ma armi, in un connubio inscindibile tra espansione del capitale e logica della guerra inevitabile.
Quel giorno lo Stato non esitò a farsi assassino, per spaventare e reprimere, pronto a coalizzare tutte le forse reazionarie e fascistoidi che nella storia del nostro paese saranno mobilitate ogni volta che verranno messe a nudo le contraddizioni del potere e rivendicati i diritti fino in fondo.
Quel giorno è oggi, da allora tutto è cambiato ma è anche in qualche modo uguale.
Oggi che assistiamo ad un attacco indiscriminato al lavoro, ai salari, ai diritti (primo tra tutti quello di sciopero) e alle tutele in nome della deregolamentazione, del libero mercato o della “crisi”.
Oggi dopo anni di riduzione della spesa pubblica e di svendita dei beni comuni per fare cassa, s’immettono in un sol colpo miliardi pubblici per salvare le banche transnazionali dalla crisi che lo loro stesse hanno creato speculando.
Oggi che si smantella la spesa sociale, con un passo indietro di decenni, ma si investe massicciamente nelle spese militari e nella sicurezza, creando un allarme interno ed esterno che non serve altro che a delegittimare ogni movimento sociale, ogni sacrosanta resistenza alle pulsioni autoritarie di una democrazia in decomposizione.
Oggi come allora, le grandi mutazioni del capitale, prima espansive, ora di crisi, si accompagnano con la saldatura tra pochi interessi privati e rilancio del militarismo, con il peace keeping a senso unico (vedi Libano 2006), con la guerra preventiva inventata da Bush ma sposata anche dai “progressisti” sotto il nome di polizia internazionale.
Oggi come allora, anche a Terni il 21 marzo 2009 scenderemo in piazza, nell’ambito del programma internazionale di mobilitazione contro l’intensificazione della NATO e le basi militari, lanciato dal World Social Forum di Belem e dalla rete NO WAR.
Non per commemorazioni rituali, ma per strappare la memoria dalle celebrazioni mistificate che chiamano “morti per la pace” le esecuzioni “involontarie” di uno Stato troppo spesso al servizio dei potenti e avverso all’autodeterminazione degli individui, allora come oggi.
Allora come oggi, perché nel ricordo del 17 marzo del 1949 e delle molte altre “morti della NATO” che tra il ’49 e il ’51 colpirono il vasto movimento di protesta dei lavoratori in tutta Italia, come in quelle successive degli anni ’70 ed ’80, delle stragi di stragi di stato e delle esecuzioni di compagni/e, abita la memoria e la lotta del nostro presente.
mercoledì 4 marzo 2009
Perché semplicemente non abolire la NATO?
AUTORE: Rodrigue TREMBLAY
Tradotto da Manuela Vittorelli
L'obiettivo della NATO è] "tenere i russi fuori, gli americani dentro, i tedeschi sotto".
Lord Ismay, primo segretario generale della NATO
"Dovremmo immediatamente convocare una seduta del Consiglio Nord Atlantico per accertare la sicurezza della Georgia e rivedere le misure che la NATO può prendere per stabilizzare questa situazione pericolosissima".
Sen. John McCain (8 agosto 2008)
"Se avessimo lavorato in maniera preventiva con la Russia, con la Georgia, facendo sì che la NATO avesse il genere di abilità, presenza e impegno adatti, forse saremmo riusciti a evitare tutto questo" [l'invasione dell'Ossezia del Sud e la successiva reazione russa].
Tom Daschle, ex leader di maggioranza al senato e consigliere del senatore Barack Obama (17 agosto 2008)
"Tra tutti i nemici delle libertà pubbliche la guerra è forse il più temibile perché comprende e sviluppa i germi di tutti gli altri".
James Madison (1751-1836), quarto presidente americano
Jaap de Hoop Scheffer, segretario generale della NATO, dopo la riunione dei ministri degli esteri della NATO a Bruxelles, il 19 agosto. Gli alleati hanno chiesto alla Russia di rispettare l'accordo di cessate il fuoco con la Georgia ma hanno accolto con riserva la richiesta degli Stati Uniti di congelare le relazioni con la Russia. Come dire che gli alleati di Washington si sono fatti un po' tirare le orecchie per aver scatenato una nuova Guerra Fredda. Photo Reuters
L'Organizzazione del Trattato Nord Atlantico (NATO) è una reliquia della Guerra Fredda. Fu costituita il 4 aprile del 1949 come alleanza difensiva dei paesi dell'Europa Occidentale con il Canada e gli Stati Uniti per proteggere quei paesi dagli sconfinamenti dell'Unione Sovietica.
Dal 1991, però, l'impero sovietico con esiste più e la Russia ha cooperato economicamente con i paesi dell'Europa Occidentale fornendo loro gas, petrolio e tutti i tipi di materie prime. Ciò ha accresciuto l'interdipendenza economica europea e ha dunque ridotto la necessità di una simile alleanza militare difensiva al di sopra e al di là dei sistemi militari di auto-difesa dei singoli paesi europei.
Ma il governo degli Stati Uniti non la vede così. Preferirebbe conservare il proprio ruolo di sussiegoso protettore dell'Europa e di unica superpotenza del mondo. In questo senso la NATO è uno strumento che si adatta bene allo scopo. Ma forse il mondo dovrebbe preoccuparsi di chi se ne va in giro per il pianeta con una tanica di petrolio in una mano e una scatola di fiammiferi nell'altra, fingendo di vendere assicurazioni contro gli incendi.
Ora come ora, è un dato di fatto che il governo e la nomenklatura degli affari esteri degli Stati Uniti vedono la NATO come un importante strumento di intervento della politica estera americana nel mondo. Dato che di fatto molti politici americani non appoggiano più le Nazioni Unite come organo internazionale supremo dedicato al mantenimento della pace nel mondo, una NATO controllata dagli Stati Uniti è ai loro occhi un sostituto più attraente dell'ONU per fornire una copertura legale alle offensive militari altrimenti illegali da loro intraprese in tutto il mondo. Preferiscono controllare completamente un'organizzazione come la NATO, anche se è diventata un'istituzione ridondante, piuttosto che dover scendere a compromessi alle Nazioni Unite, dove gli Stati Uniti dispongono comunque di uno dei cinque veti al Consiglio di Sicurezza.
È questa la ferrea logica che sta dietro ai propositi di riorganizzazione, riorientamento e allargamento della NATO per trasformarla in uno strumento flessibile della politica estera americana. Ed è un'altra dimostrazione del fatto che le istituzioni ridondanti vivono di vita propria. E infatti quando lo scopo per il quale sono state inizialmente create non esiste più si inventano nuovi scopi per farle andare avanti.
Per quanto riguarda la NATO, il piano è quello di ingrandirla e trasformarla in un'alleanza politico-militare imperiale e offensiva contro il resto del mondo dominata dagli Stati Uniti. Secondo questo piano, la NATO si espanderebbe nell'Europa centro-orientale a includere non solo gli ex-membri del Patto di Varsavia (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria, Romania, Albania e Ungheria) e molte delle ex-repubbliche sovietiche (Estonia, Lituania, Lettonia, Georgia e Ucraina), ma anche in Asia a includere il Giappone, l'Australia, la Nuova Zelanda, la Corea del Sud e forse anche in Medio Oriente per ammettere Israele. Oggi la NATO, che all'inizio contava 12 membri, è passata a 26 membri. In futuro, se gli Stati Uniti raggiungeranno il loro obiettivo, potrebbe arrivare a 40 membri.
Manifesto del blocco di opposizione ucraino Ne Tak! (Non così!), che si batte contro l'adesione dell'Ucraina alla NATO.
Negli Stati Uniti sia i Repubblicani che i Democratici vedono la trasformazione della vecchia NATO in questa nuova alleanza militare offensiva come una buona idea (neocon) per promuovere nel mondo gli interessi americani e quelli dei loro stretti alleati come Israele. È un'idea promossa attivamente non solo dall'amministrazione neocon Bush-Cheney, ma anche dai consiglieri neo-conservatori di entrambi i candidati alle presidenziali americane del 2008, John McCain e il senatore Barack Obama. Infatti entrambi i candidati sostengono con entusiasmo l'interventismo militare, e questo essenzialmente perché i loro consiglieri vengono dallo stesso ambiente neo-conservatore.
Per esempio, la precipitazione con cui i Bush-Cheney hanno imprudentemente promesso l'ingresso nella NATO all'ex-repubblica sovietica della Georgia e le hanno fornito appoggio e rifornimenti militari è un buon esempio di come viene vista la NATO a Washington da entrambi i maggiori partiti politici americani. Da una parte, il candidato presidenziale repubblicano John McCain progetta un nuovo ordine mondiale costruito attorno a una "Lega delle Democrazie" di ispirazione neo-conservatrice che sostituirebbe di fatto le Nazioni Unite e attraverso la quale gli Stati Uniti dominerebbero il mondo. Dall'altra, la posizione del senatore Barack Obama non è poi così diversa dalle proposte del senatore McCain in fatto di politica estera. Infatti il senatore Obama promuove l'impiego della forza militare degli Stati Uniti e degli interventi militari multilaterali nelle crisi regionali a "scopi umanitari", anche se significa aggirare le Nazioni Unite. Dunque, se mai dovesse andare al potere, possiamo tranquillamente scommettere che il senatore Obama non avrebbe alcuno scrupolo ad adottare la visione del mondo del senatore McCain. Per esempio, entrambi i candidati probabilmente appoggerebbero l'eliminazione della clausola "no first strike" dalla convenzione della NATO. Si può stare certi che con l'uno o l'altro alla Casa Bianca il mondo sarebbe meno basato sul diritto e meno sicuro, e certo non migliore di come è stato sotto la sfrenata amministrazione Bush-Cheney.
È tuttavia difficile capire come questo nuovo ruolo offensivo della NATO possa essere negli interessi dei paesi europei o del Canada. L'Europa Occidentale in particolare ha tutto da temere da un ritorno alla Guerra Fredda con la Russia e forse con la Cina. La trasformazione della NATO da organizzazione militare difensiva nord-atlantica a organizzazione militare offensiva guidata dagli Stati Uniti avrà profonde conseguenze geopolitiche internazionali in tutto il mondo, ma soprattutto in Europa. L'Europa ha una forte attrazione economica per la Russia. Dunque perché imbarcarsi nella politica aggressiva dell'amministrazione Bush-Cheney, basata sull'accerchiamento militare della Russia attraverso l'espansione della NATO fino ai confini russi e l'installazione di uno scudo anti-missile proprio lì accanto? Non sarebbe meglio per l'Europa sviluppare relazioni politiche ed economiche armoniose con la Russia? Perché preparare la prossima guerra?
Per quanto riguarda il Canada, sotto il governo minoritario del neocon Harper il paese è diventato di fatto una colonia americana in materia di politica estera, e questo senza che si sia svolto alcun dibattito o referendum. L'ultima cosa di cui il Canada ha bisogno è proseguire su quella strada minata.
In conclusione, parrebbe che l'idea umanistica che vede la pace, il libero scambio e il diritto internazionale alle basi dell'ordine mondiale venga messa da parte a favore di un ritorno alla grande politica della forza e alla diplomazia delle cannoniere. Così si torna indietro di cent'anni.
È una vergogna.
McCain (in piedi a destra) poco prima della sua cattura da parte dei vietnamiti nel 1967: un eroico guerriero.
Obama ricevuto dal Generale Petraeus a Baghdad il 21 luglio 2008: nessuna esperienza di guerra, ma non chiede che di imparare. Photo Reuters
Originale da: http://www. thenewamericanempire.com/ tremblay=1093
Articolo originale pubblicato il 20 agosto 2008
L’autore
Manuela Vittorelli è membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguística. Questo articolo è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne autori, traduttori, revisori e la fonte.
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